In questo articolo affrontiamo un tema delicato e frequente ovvero il senso di colpa.
Senso di colpa un po’ per tutto e a volte anche per il contrario di tutto. Talmente tutto, che a volte si prova il senso di colpa per il fatto di provare il senso di colpa stesso o, ancora più paradossale, talvolta qualcuno si sente in colpa per non provare il senso di colpa. Potrebbe sembrare banale dire quanto possa essere faticoso vivere la genitorialità, almeno in alcuni momenti, ma invece è utile dirlo, anche in modo forte e chiaro, perché troppo spesso, soprattutto nelle mamme, sembrano prevalere frustrazione e senso di inadeguatezza, con inevitabili ripercussioni su autostima, benessere e serenità.
Ma da dove viene tutto questo, e l’inevitabile senso di colpa annesso?
E cosa possiamo fare per superare o almeno contenere tutto ciò?
Che cos’è il senso di colpa?
Secondo l’enciclopedia di Psicologia Le Garzantine di U. Galimberti (1999), il termine “colpa” proviene dall’ambito giuridico e indica l’infrazione involontaria di una norma, in contrapposizione al termine delitto, che si riferisce invece ad un’infrazione volontaria e progettata. Anche I. Kant alla fine del ‘700 dà al termine colpa un significato analogo.
Senso di colpa materno
Già in questa definizione troviamo almeno due elementi che caratterizzano il senso di colpa che comunemente associamo alla maternità: il fatto di essere legato ad una azione/comportamento (e non alla persona in toto) e il fatto che abbia in qualche modo a che fare con il discostarsi da una norma, una regola.
Già qui si potrebbero aprire disquisizioni infinite. Perché, la maternità ha in qualche modo a che fare con delle regole? Ci sono delle istruzioni che si potrebbero seguire, in modo da essere sicuri di non sbagliare? “Magari” direbbe qualcuno! E invece purtroppo, o per fortuna, i bambini grazie ai quali diventiamo genitori non sono accompagnati dal libretto di istruzioni.
E allora da quali norme/regole sentiamo di discostarci nel momento in cui proviamo senso di colpa?
Certamente da regole culturali implicite, che ancora oggi vedono la gravidanza come uno “stato di grazia” a prescindere e la maternità, soprattutto nei primi anni, un momento della vita idilliaco, in cui ci si deve in qualche modo immolare alla causa figli, senza se e senza ma. Regole culturali che sanno più di stereotipi e, come tutti gli stereotipi, sono la semplificazione di un qualcosa di molto più complesso e, in questo caso, intimo e individuale, impossibile da generalizzare. E invece sono proprio queste generalizzazioni semplicistiche, e in molti casi poco realistiche, che fungono da metro di giudizio e che ci fanno sentire spesso in colpa e inadeguate.
Un secondo aspetto riguarda il parere di chi ci sta intorno, persone per lo più vicine, spesso parenti stretti, in molti casi genitori. Pareri, consigli, battute, che percepiamo come norme indiscutibili, anche quando a livello razionale capiamo che non possono essere la regola indiscussa valida per tutti. Che poi se ci fermiamo a riflettere, la verità è che il più delle volte i legislatori, controllori e giudici più severi di noi stessi molto spesso siamo noi. Il che è una buona notizia, perché se la questione dipende principalmente da noi, lavorando su noi stessi possiamo fare qualcosa per superare il disagio che inevitabilmente deriva dal senso di colpa.
Per S.Freud, padre della Psicanalisi, il senso di colpa è effettivamente strettamente connesso al nostro modo di essere e ha a che fare con la relazione tra il nostro Io (che comprende tutte le funzioni psichiche attraverso le quali ci relazioniamo con l’ambiente circostante) e il super-Io (che potremmo definire la nostra coscienza, il nostro grillo parlante interno).
Secondo alcuni filosofi, dal senso di colpa deriva anche il senso di responsabilità e dunque a volte permette di fare meglio, di agire in modo migliore, come per una sorta di intento riparativo. Il senso di colpa è stato però associato anche a patologie importanti, quali depressione e condotte masochistiche o delittuose, per un meccanismo di sollievo derivante da sofferenza/pena/punizione oggettiva derivante dalle nostre azioni.
Questo tema non è certamente esauribile in poche righe, ma questi brevi accenni ci aiutano a comprendere quanto sia complesso l’argomento e quanto possa essere importante riuscire a dare significato al proprio senso di colpa: come in tantissimi ambiti, infatti, comprendere spesso vuol dire elaborare, superare o almeno contenere e favorire dunque il benessere proprio e delle persone che abbiamo accanto.
Quali sono le situazioni tipiche in cui le mamme spesso riconoscono di provare senso di colpa?
Mamma lavoratrice e senso di colpa
Uno dei momenti cruciali dopo la nascita di un bambino è il momento in cui la mamma deve rientrare al lavoro. Questo momento è spesso caratterizzato da infiniti interrogativi: nido? nonni? tata?
Qual è la soluzione migliore per il proprio bambino e la propria famiglia?
Per non parlare dei dubbi legati alle ore lavorative che tengono le mamme lontane da casa: saranno troppe? Dovrei provare a chiedere il part-time? Ma se anche mi dovessero dare il part time, ce lo possiamo permettere? Soffrirà il bambino per la mancanza della mamma? Queste e altre 1000 domande riempiono le menti di tante mamme lavoratrici, al punto che alcune, spinte dai sensi di colpa, si domandano se non sarebbe forse il caso di lasciare il lavoro, anche nelle situazioni in cui una sicurezza economica maggiore sarebbe di grande aiuto.
Certamente di fronte ad una scelta così importante, bisogna anche fare i conti con gli aspetti concreti, da punto di vista logistico, economico, organizzativo. Ma la vita professionale non è solo un qualcosa che si ripercuote sull’economia della famiglia; è un aspetto che ha una ricaduta importante anche sull’identità della mamma, che oltre ad essere appunto mamma, mantiene una serie di altre identità, tra cui quella di lavoratrice, identità che il più delle volte ha a che fare con la propria indipendenza e realizzazione personale.
Come in tutte le cose che riguardano la maternità, non c’è una strada giusta o una sbagliata, la cosa importante però è considerare tutti gli aspetti in gioco e avere quindi in mano tutti gli elementi che consentono di prendere una decisione in modo consapevole. Per questo è importante guardarsi dentro, capire quale siano gli aspetti che realmente ci stanno mettendo in difficoltà e valutare tutte le variabili in gioco, in modo da non prendere decisioni sull’onda dell’ansia o delle fatiche del momento, col rischio di successivi ripensamenti. Si tratta sicuramente di una decisione complessa, che mette in gioco aspetti molto profondi, riguardanti noi come genitori ma anche come figli come lavoratori. Essere genitori in alcuni momenti può essere davvero difficile, così come essere lavoratori con vincoli orari e limiti di energia che prima non si avevano. Le situazioni famigliari sono davvero molto diverse l’una dall’altra ed è difficile quindi poter dare delle indicazioni generali che possano andare bene per tutti.
Un consiglio importante
Un aspetto che spesso non viene considerato, su cui è importante riflettere e che va al di là del tema lavoro, è questo: rinunciare a una cosa che per noi è tanto importante, anche se fatta con l’idea di anteporre l’interesse di un figlio, a volte rischia di creare una serie di dinamiche per cui il bambino si ritrova in maniera anche del tutto inconsapevole e inconscia in una posizione di debito nei nostri confronti.
Potrebbe succedere infatti che anche solo una piccolissima parte di noi ritenga che la nostra rinuncia debba in qualche modo essere risarcita, creando delle dinamiche non sane in cui il figlio si potrebbe trovare intrappolato. Per questo è importante analizzare bene il motivo per il quale si sta decidendo se lasciare il lavoro: ci possono essere 1000 motivi per farlo, ma non può essere il senso di colpa a dettare una scelta tanto importante. Può valere la pena invece soffermarsi a riflettere sulla natura di questo senso di colpa e comprenderne il significato.
Può valere la pena invece soffermarsi a riflettere sulla natura di questo senso di colpa e comprenderne il significato. La decisione di lasciare il lavoro o di continuare a lavorare è una scelta degli adulti e i figli non possono essere in nessun modo ritenuti responsabili, neanche a livello inconscio; non possono essere loro a pagare il debito per una nostra rinuncia: se rinuncio alla mia vita professionale, il figlio non mi deve niente in cambio, né in termini di comportamento, né in termini di impegno scolastico, né in termini di scelte di vita. Possono sembrare situazioni fuori dal mondo e paradossali, ma dinamiche di questo tipo sono più frequenti di quanto ci aspetteremmo. Nel momento in cui siamo consapevoli di tutti questi aspetti e abbiamo riflettuto bene, anche eventualmente attraverso in percorso psicologico personale, qualsiasi strada si deciderà di intraprendere sarà quella giusta per noi e per la nostra famiglia.
Rabbia, rimproveri e sensi di colpa
Un’altra tipica situazione in cui tante mamme provano un senso di colpa avviene in seguito a rimproveri o momenti di rabbia per lo più incontrollata. Come sappiamo, i figli sono quanto di più caro abbiamo al mondo in questa vicinanza ci porta a provare le emozioni più intense, nel bene nel male: dall’amore più grande alla rabbia più forte. E allora può succedere che ci siano momenti in cui, vuoi per la stanchezza, vuoi per i pensieri o per 1000 altre ragioni, può capitare di perdere il controllo e reagire ad un comportamento di un figlio con una modalità che percepiamo come eccessiva. Solitamente questo avviene quando abbiamo la sensazione o la percezione di aver perso il controllo e questo ci fa paura, ci fa spaventare.
Effettivamente, è importante che qualsiasi modalità decidiamo di mettere in atto nei confronti dei nostri figli siano azioni pensate di cui siamo padroni. Anche alzare la voce, perché ahimè sappiamo che può capitare, inutile negarlo, diverso è se lo facciamo in modo consapevole o se lo facciamo in modo incontrollato. Purtroppo, sappiamo come mancanza di sonno e stanchezza possano giocarci brutti scherzi e sappiamo anche come i nostri bambini siano in grado di individuare benissimo come e quando andare a toccare quelle corde che ci fanno scattare. Il problema è che in questo modo si crea come un circolo vizioso, in cui più noi genitori siamo stanchi ed esasperati, e meno i bambini ci seguiranno, mettendo in atto comportamenti che andranno ad alimentare la nostra fatica del momento, generando un’escalation di toni ed emozioni, da parte di tutti.
I figli percepiscono le nostre emozioni anche quando cerchiamo di nasconderle e spesso, nel momento in cui non siamo tranquilli, è un po’ come se il loro porto sicuro, ciò che dà loro stabilità, vacillasse. In queste situazioni è facile che i bambini mettano in atto comportamenti oppositivi o in qualche modo inappropriati e facciano più fatica a gestire le loro emozioni.
Tutto questo, neanche a dirlo, genera il più delle volte senso di colpa e frustrazione.
Cosa possiamo fare in questi casi? Prima cosa fermarci, respirare e magari fare anche un passo indietro. E’ necessario trovare il modo di interrompere la dinamica in atto, cosa che permette di riprendere il controllo della situazione. La presenza dell’altro genitore è sicuramente una risorsa: nel caso in cui fosse presente in quel momento infatti, potrebbe entrare in gioco, quasi come una sostituzione in campo, anche momentanea, giusto il tempo di ritrovare il baricentro. A volte ci sentiamo così in colpa di fronte ad alcuni episodi che vorremmo solo poter tornare indietro nel tempo e cancellarli. Purtroppo non è possibile, ma abbiamo una risorsa che ci permette di riparare anche queste situazioni, che per quanto riteniamo spiacevoli, sono del tutto umane.
Quando ci sentiamo di aver esagerato e che la situazione ci sia davvero sfuggita di mano possiamo chiedere scusa ai nostri bambini. Ricordiamoci che noi siamo i loro modelli e che tante volte imparano più dal nostro comportamento che non da quello che diciamo. Chiedere scusa permette da un lato di insegnare loro che in alcune situazioni è possibile e doveroso farlo, dall’altro lato ci fa mostrare come persone reali umane con pregi, limiti ed errori.
Tempo per sé e senso di colpa
Un’altra cosa che tipicamente genera senso di colpa, in particolare nelle mamme, sono i momenti dedicati a sé stessi. Il senso di colpa legato all’assenza per motivi che prescindono dai “doveri” è tale che tante volte impedisce proprio di ritagliarsi questi spazi.
Non dobbiamo dimenticarci però che, come accennato, nel momento in cui si diventa genitori non si può rinunciare a tutto il resto. E che, ancor più importante, il benessere e la serenità dei genitori è ciò che di solito maggiormente determina il benessere dei bambini. Questo spesso lo dimentichiamo, ma trovo sia davvero fondamentale.
Ritagliarsi del tempo che faccia stare bene i genitori non è un atto egoistico: non si tratta di qualcosa che dà beneficio solo a sé stessi, ma può fare la differenza anche per le persone che si hanno intorno. Purtroppo siamo intrappolati in retaggi culturali che giocano a sfavore di tutti, grandi e piccoli. Dove è scritto che maternità è per forza sacrificio, rinunce, come se immolarsi alla causa dei figli ci rendesse genitori migliori.
Spesso quando una mamma si sente dire da uno specialista che è importante ritagliarsi del tempo per sé, fanno un sospiro di sollievo come se in quel momento fosse per loro importante che qualcuno le autorizzasse a prendersi dei momenti di cura di sé stesse. Un po’ come se andare a fare un aperitivo con le amiche generasse grande senso di colpa, ma la “prescrizione” del medico (in questo caso dello psicologo) fosse in grado di alleviarlo. E allora il consiglio è assolutamente quello di ritagliarsi dei momenti in cui stare bene: può essere il parrucchiere, può essere l’aperitivo, può essere il caffè, può essere una passeggiata, può essere un’attività sportiva, secondo caratteristiche e gusti di ciascuno, ma l’importante è farlo, con la consapevolezza che non è un qualcosa che facciamo solo per noi ma è un qualcosa che facciamo anche per il benessere dei nostri figli e di tutta la famiglia.
Pensieri inaccettabili che generano senso di colpa
Un’altra cosa che genera senso di colpa forte è un qualcosa che forse fa avvicinare addirittura a un senso di vergogna, qualcosa che spesso non riusciamo a nominare, ma che anche in questo caso, è più frequente di quanto pensiamo. Se ne parla poco, proprio perché genera un senso di colpa talmente forte, che spesso non riusciamo ad ammetterlo neanche a noi stessi, figuriamoci agli altri. Si tratta di tutti quei pensieri “inaccettabili”, che ci portano in qualche modo a una sorta di pentimento rispetto alla genitorialità. Eppure sfido a trovare chi non abbia mai, nemmeno una volta, ripensato alla propria vita pre-figli con un briciolo di nostalgia.
Siamo sicuri di non aver mai pensato, nemmeno per un istante, “vorrei tornare indietro”? Questo farebbe di noi delle brutte persone o ci renderebbe genitori peggiori? Assolutamente no, anzi chi è in grado di vedere anche queste parti di sé, osservarle e accettarle, è in qualche modo avvantaggiato e possiede uno strumento in più di consapevolezza, in grado di favorire la relazione con i propri figli. Se anche ci fosse capitato di pensare qualcosa del genere, significa che non amiamo i nostri bambini? No, significa piuttosto ammettere le proprie fatiche, riconoscere le difficoltà associate alla genitorialità, difficoltà grandi, reali e da cui a volte ci sentiamo sopraffatti. Anche in questo caso, non è negare qualcosa che la fa sparire, è invece l’accettazione, l’elaborazione e l’integrazione anche di questi pensieri, che aiutano a non farci sentire sopraffatti dalle difficoltà.
Senso di colpa in gravidanza o alla nascita del secondo figlio
Anche il tema della nascita di un fratellino porta con sé vissuti contrastanti, rispetto al senso di colpa. Riguardo a questa tematica, infatti, alcune persone dicono di sentirsi in colpa perché vorrebbero dare o stanno per dare alla luce un fratellino, ma temono di togliere tempo e cure al proprio bambino; altre persone al contrario, si sentono in colpa perché non vogliono o non riescono a fare un secondo figlio, lasciando in qualche modo il primogenito solo.
La sensazione è che sia proprio vero che, come si dice, quando sei genitore, “come la fai la sbagli”. Effettivamente “il mestiere di genitore” viene spesso associato ai mestieri impossibili citati da Freud, evidenziando ancora una volta come ogni modalità genitoriale abbia la propria specificità, in relazione all’unicità di ogni specifico bambino e alla specificità di ogni diade genitore-bambino. Il senso di colpa legato alla nascita di un secondo figlio, sembra essere strettamente connesso alla paura di non riuscire a dare ai fratellini le stesse attenzioni e non poter garantire a tutti lo stesso trattamento: dunque non trattare il secondogenito nello stesso modo in cui si era trattato il primo, o non trattare più il primo come lo si aveva trattato fino a quel momento.
Il tema tempo in questo ambito acquisisce quindi un’importanza cruciale. Perché se da un lato è consolidato che l’amore si moltiplichi con la nascita di ogni figlio, la stessa cosa non accade per il tempo. Un po’ come quando da ragazzi ci si fidanzava e gli amici facevano pesare il fatto di venire trascurati: non è che volevamo loro meno bene rispetto a prima, ma inevitabilmente il tempo a disposizione doveva essere ripartito in più parti.
Effettivamente alla nascita un bambino necessita di un accudimento tale per cui è difficile suddividere in modo identico dal punto di vista quantitativo il tempo dedicato a lui e agli altri figli, ma forse il punto non è questo. Una delle cose più importanti a mio avviso, nella relazione con i figli, è essere presenti e attenti osservatori dei bisogni non solo loro, ma anche nostri, ammettendo per primi a noi stessi di non essere onnipotenti, arrivare dove possibile e chiedere aiuto dove non si arriva, per il bene nostro e di chi ci sta intorno. Purtroppo nemmeno i genitori che a volte scoprono risorse che non immaginavano di avere, sono arrivati ad avere la capacità di moltiplicare il tempo. E allora è con questi limiti forse che ha più senso fare pace, altro che senso di colpa. La nascita di un figlio porta inevitabilmente con sè anche la nascita di una mamma e di un papà, di una coppia genitoriale, diversa dalla coppia precedente e, nel caso di un secondogenito, terzogenito etc, la nascita di nuovi genitori. Ogni maternità, infatti, è diversa, non solo perché i bambini sono diversi, ma anche perché i genitori non sono le stesse persone degli anni precedenti, ma persone nuove in un contesto nuovo. Ecco perché qualsiasi paragone tra figli o con il passato lascia un po’ il tempo che trova.
Retaggi culturali, differenze di genere e ruoli
Come abbiamo detto, il nostro essere genitori, i genitori che siamo e i vissuti che abbiamo in relazione alla genitorialità derivano non solo dalla nostra individualità, ma anche dai modelli genitoriali che abbiamo avuto e dalla cultura nella quale siamo cresciuti. La genitorialità, così come la società, di oggi è molto diversa ad esempio dalla genitorialità della generazione precedente, diciamo quella dei nostri genitori, eppure strettamente connessa. Per dirne una, anche un po’ banale, molte mamme oggi lavorano, cosa più rara trenta/quarant’anni fa, e così cambiano i ruoli delle mamme e dei papà all’interno delle famiglie moderne.
Purtroppo però, anche se razionalmente siamo convinte di una serie di cose, dal punto di vista inconscio risentiamo di retaggi culturali, che ancora ci condizionano, se non nelle azioni, spesso almeno nei vissuti. Infatti, sebbene la maggior parte di noi ritenga corretta una più equa distribuzione dei compiti tra genitori all’interno delle famiglie nella quotidianità, non sempre la nostra parte inconscia più profonda va a braccetto con testa e razionalità. Così succede che a volte non riusciamo a lasciare che siano i papà ad occuparsi di alcune cose e altre volte, anche quando lo facciamo, non è raro che il nostro vissuto sia accompagnato da senso di colpa più o meno evidente. Frasi come “il papà mi aiuta”, “delego al papà”… lasciano intendere che, anche per alcuni insospettabili, i ruoli genitoriali risentano di stereotipi legati al passato, che hanno ancora bisogno di tempo per essere del tutto superati.
In realtà, soprattutto nei primi anni di vita dei bambini, ma in generale sempre quando si parla di genitorialità, la parola d’ordine dovrebbe essere, quando possibile, anche al di là della coppia (che a volte scoppia), collaborazione. Perché genitori si rimane sempre anche quando non si è più coppia. Il papà quindi non aiuta, ma collabora, così come quando si occupa dei figli non fa il mammo, ma è semplicemente un papà.
La verità è che spesso, prese dalla frenesia della quotidianità, siamo noi mamme che facciamo fatica a lasciare che siano altri a occuparsi di alcuni aspetti che riguardano i figli, papà compresi, come per una sorta di bisogno di controllo, il più delle volte determinato da ansia e stress. Una consapevolezza in merito potrebbe essere di grande aiuto e ci permetterebbe di fare tesoro delle parole pronunciate con molta ironia qualche settimana fa nelle stories di una seguitissima pagina social: “Lasciamo fare al papà, lo farà male? Sì…pazienza!” (MdM)
Conclusioni sul tema senso di colpa
Se ci fermiamo a pensare, dunque, ci rendiamo conto di come per molte di noi il senso di colpa abbia un ruolo determinante nella nostra vita e se da un lato può essere un incentivo a migliorare, dall’altro rischia di essere un ostacolo enorme alla nostra realizzazione personale, al nostro benessere e di conseguenza a quello dei nostri bambini.
Quando ci sentiamo inadeguati abbiamo due possibilità: o miglioriamo o abbassiamo gli standard. Rispetto alla maternità e alla genitorialità a volte può fare la differenza questo secondo aspetto, rinunciando al desiderio utopico del possedere i super poteri e a standard ideali di perfezione.
Donald Winnicott, importante pediatra e psicoanalista del secolo scorso, ci insegna che i bambini per stare bene non hanno bisogno di mamme perfette, ma di “mamme sufficientemente buone”, con tutte le loro incertezze, paure e fragilità. Allora forse ciò che davvero conta con i nostri bambini sono l’autenticità, la presenza affettiva e la consapevolezza: osservare noi, a volte ancor prima di osservare loro, in modo da riuscire ad avere quella serenità che permette di dare tutta la cura e l’amore di cui siamo capaci, convinti che il nostro benessere sia fondamentale non solo per noi, ma forse ancora di più per i nostri figli.
Quando lo psicoterapeuta può entrare in campo per aiutare la coppia?
Abbiamo visto quanto possa essere faticosa la genitorialità e quanto a volte ci si possa sentire sopraffatti, scoprendo in alcuni casi emozioni e pensieri che non pensavamo ci appartenessero. Abbiamo visto anche come il senso di colpa possa influenzare la nostra quotidianità, sia in termini di vissuti, sia in termini di azioni, a volte al punto da essere determinante anche in scelte di vita importanti.
Chiedere aiuto può essere utile ogni volta che ci sentiamo troppo affaticati. Si può chiedere aiuto in tanti modi: al partner, alla famiglia, agli amici, a chi ci potrebbe sollevare da incombenze pratiche quotidiane (pulizia, accompagnamenti, cura dei bambini…).
E lo psicoterapeuta quando? Quando vogliamo andare oltre e cercare di superare davvero il disagio o la confusione che stiamo provando. Dare significato ai pensieri, alle emozioni e ai comportamenti significa comprenderli davvero alla luce di chi siamo, della nostra storia e delle nostre relazioni. Solo così a volte riusciamo a trarre beneficio profondo, perché spesso è la consapevolezza a fare la differenza nel superare i momenti di difficoltà e nel ri-trovare benessere e serenità, per noi per chi ci sta accanto.
MICOL METZINGER
Psicologa, terapeuta EMDR, psicoterapeuta dell’età evolutiva, lavora con bambini, adolescenti e genitori. Collabora con una cooperativa sociale nell’ambito di un progetto di prevenzione al maltrattamento nella fascia 0-3 anni. Riceve privatamente a Milano in zona San Siro e in zona Buonarroti/Wagner. Collabora con La Giocomotiva, creando uno spazio d’ascolto per genitori.
https://www.psicofficinemilano.com