Nel corso della nostra ormai ventennale esperienza di nidi e scuole dell’infanzia abbiamo notato come, sempre più spesso, il nutrimento dei bambini viene vissuto come “problema”.
Mamme e papà, si presentano alle porte della nostra scuola dell’infanzia con lunghi racconti di quanto quello del cibo sia il momento più temuto dell’intera giornata, fonte di scontri, fatiche e tensioni, tutte volte a far mangiare “le cose sane”, nei “tempi giusti” ai propri figli.
Il risultato, il più delle volte, è la resa genitoriale: estenuati dalle lunghe schermaglie e dalla divergenza di opinioni, i genitori sovente si “arrendono” e, onde evitare l’innesco di “inutili” combattimenti, aprono la porta del frigor e chiedono al bambino “cosa vuoi da mangiare?”.
Questo però è il risultato di una trasformazione socioculturale che, nell’ultimo mezzo secolo, ha coinvolto e trasformato la cultura occidentale. Le metropoli in particolare di questo nuovo lifestyle sono le principali fautrici.
Procediamo quindi per un attimo nel tentativo di decodificare come il cibo, dall’essere visto fino a qualche decennio fa come problema in relazione solo al suo procacciamento, sia diventato oggi (nelle zone benestanti del mondo) causa di problemi nella relazione genitori figli.
LA DISABITUDINE ALLA RELAZIONE – Nella frenesia della social generation non c’è più tempo (né voglia) di affrontare la relazione per il solo gusto di essere in relazione: lo stare insieme raramente non sottende un fare.
In ogni momento bisogna fare qualcosa. Anche il “tempo libero” occorre riempirlo con cose da fare. Nel fare “compulsivo” c’è però sempre meno tempo per ascoltare e per conoscere l’altro. E questo avviene anche e soprattutto in famiglia. I genitori, rapiti da lavori che, nella stragrande maggioranza dei casi, li vedono distanti dalla loro prole per 10/12 ore al giorno, arrivano al momento del “confronto a tavola” totalmente impreparati alla gestione di routine, necessarie mediazioni e conseguenti fatiche relazionali che tale momento innesca.
L’INAPPETENZA – A questo va aggiunto che il bambino, molto spesso, arriva a tavola, nell’ “ora canonica” senza alcun appetito. Il cibo infatti viene sempre più spesso utilizzato come “compensazione” della non relazione. All’uscita della scuola dell’infanzia, coloro che vengono a prendere i bambini, sono sempre più spesso “armati” di merendine sature di zuccheri e carboidrati che, facendo leva sugli effetti dopanti del picco glicemico, tentano di attenuare il senso di colpa della forzata lontananza con l’associazione di una gratificazione zuccherina.
Ciò, rispetto ad una sana educazione, è doppiamente deleterio.
Relazionalmente, infatti, il bambino, al momento della ricongiunzione famigliare, cerca prima della mamma la merendina nella borsa, rinforzando in tal modo il concetto utilitaristico della relazione di cui sopra.
- Facciamo in modo che il bambino arrivi al ring della tavola (cit. Antonio di Pietro pedagogista) con l’appetito (es. eliminazione dell’utilizzo del cibo come premio/compensazione o come sedazione da capriccio).
- Dedichiamo tempo alla relazione: coinvolgiamolo nella preparazione delle pietanze, anticipiamogli la nostra attenzione prima che sia lui a pretenderla.
- Evitiamo di porre il bambino di fronte a scelte per lui impossibili: il bambino non conosce l’infinita diversità di sapori e di consistenze che il mondo alimentare può offrirgli e la sua diffidenza verso il nuovo e la pigrizia che spinge verso le cose già note gli fanno preferire le poche cose che conosce e che già gli piacciono.
- Ricordiamoci inoltre come la semplicità del frigorifero di una volta (con dentro il vuoto assoluto) era molto conciliante all’assaggio dell’unica pietanza presentata e, di conseguenza, all’acquisizione di una cultura familiare caratterizzata sapori e pietanze caratteristiche ed “identificanti”.