Quanto tempo usiamo a dare lunghe spiegazioni ai nostri bimbi, ad esempio al supermercato, sul perché “no, mi dispiace, forse domani, ma stasera no, non si può prendere questo o quello, perché hai il mal di pancia, perché sei stato dal dentista, perché c’è il glutine, perché c’è l’olio di palma, perché i bambini dall’altra parte del mondo non ce l’hanno, perché la mamma/il babbo/la nonna/il nonno/lo zio/la tata non vuole, perché lo hai avuto ieri, perché solo i giorni dispari o solo i giorni pari”.
I bimbi, con gli occhi spalancati, ci guardano per cercare di capire quale logica supporta il pensiero di noi grandi, che oggi sì e domani no, babbo sì e nonna no, che cosa sia poi questo olio di palma e perché il glutine possa fare male, e come sarà il mondo dall’altra parte. A proposito, dove sarà l’altra parte? Sotto ai nostri piedi, dietro alle nostre spalle, sopra alle nostre teste? E poi come ci si arriva? E chissà se dall’altra parte oggi è un giorno di quelli pari o di quelli dispari.
Approdati a casa, dopo una lunga giornata passata di qua e di là, il bimbo trotterella verso la tua stanza e prende la palla. Guarda desideroso il babbo che si è messo le pantofole e che – invece – dice in rapida sequenza: “ora attacco questo quadro, apparecchio la tavola, porto i rifiuti di sotto, telefono alla nonna, rispondo a qualche email, poi, promesso, giochiamo un po’ prima di andare a letto”.
Allora il bimbo, ancora speranzoso, va verso la mamma, in cerca di una compagna di giochi, ma lei ha inforcato il grembiule: “adesso ti preparo la pappa, vai a lavarti le mani, non toccare che scotta, aspetta che torni il babbo, intanto mando la lavatrice, ti accendo la TV”. Il bimbo resta in piedi, in mezzo alla stanza, la palla ancora in mano e la delusione che si fa strada dentro di sé, ma già appena un po’ distratto dalla pubblicità e poi da un cartone avviato sul tablet. Passa qualche minuto, il bimbo è ancora lì con la palla in mano, la delusione non ha fatto in tempo a prendere piede, perché le immagini e i ritmi della pubblicità lo hanno catturato. È come in una sorta di trance, sentita come tanto utile dai genitori che, nel frattempo, possono dedicarsi ai loro piani, per carità, tutti legittimi a uno sguardo adulto.
In sottofondo il bimbo percepisce i rumori dei piatti in cucina, la porta di casa che si apre e si chiude, un telefono che squilla, qualcuno che parla, e resta ancora lì, quasi addormentato ma ancora in piedi, quando si sente chiamare per la cena. Il torpore lo ha un po’ inchiodato davanti alla TV o sulle immagini che scorrono dal tablet, ma a quel punto
vorrebbe forse anche capire come finisce la storia che racconta il cartone. La chiamata si fa più imperiosa, però e, poco dopo, il bimbo è seduto a tavola, sebbene non sappia come ci sia arrivato, forse volando trasportato dalle braccia del babbo, stanco di chiamarlo “inutilmente”, almeno da suo punto di vista?
A questo punto il bimbo sarebbe autorizzato a pensare che forse è arrivato il momento buono per giocare un po’ insieme, aspetta questo momento da tutto il giorno e anche questo, da parte del bambino, è un desiderio del tutto legittimo. E allora disegna ghirigori col cucchiaio nel piatto della minestrina, aspettandosi un sorriso, un buffetto, un apprezzamento. Ma nessuno sembra gradire la sua opera d’arte, anzi per tutta risposta gli dicono di sbrigarsi, che poi si fredda e diventa cattiva. Il bimbo ci riprova, tirando mollichine di pane sui piatti della mamma e del babbo, ma gli dicono di non sporcare, di non dare fastidio, di non sprecare il pane, di smetterla, di pensare a mangiare, di muoversi che è tardi.
Sono sicura che la mamma e il babbo fanno tutto questo con le migliori intenzioni, come curare la salute dei propri figli, condividere i motivi delle loro scelte, far capire loro le proprie ragioni, rendere pulito e igienico l’ambiente in cui vivono, insegnare le buone maniere, proporre i cibi migliori, far sì che si possa andare a letto presto, che la mattina di solito bisogna alzarsi di buon’ora, soprattutto se si vive in città.
Sono sicura che gli adulti arrivano a casa un po’ stanchi della loro giornata lavorativa, per i tanti problemi risolti e ancora da risolvere, per la fretta che caratterizza la vita dei grandi, per le tante cose che passano per la testa e che appesantiscono un po’ l’animo.
Ma il bimbo che c’entra? È un bambino o una bambina e vorrebbe solo un po’ di attenzione giocosa.
Ecco, forse i grandi, un po’ presi da tante questo, si sono dimenticati che finché si è un bambino o una bambina, non si hanno gli strumenti per condividere scelte e comprendere cose da grandi, che al di là della pulizia e del cibo e delle buone maniere, quello che vuole e che serve a un bambino o a una bambina è poter giocare, meglio se con i familiari, dato che con gli altri bimbi e con altri adulti ha già interagito prima, al nido o a scuola o durante le attività giornaliere. Perché il gioco è il più grande impegno giornaliero in età infantile e giocare fa stare così bene! Solo semplicemente tirare una palla e vedere che i genitori la ricevono e la rilanciano. È così distensivo e si potrebbe andare avanti per ore!
Basterebbe nascondersi dietro a un cuscino e ricomparire, a turno, per riprendere le fila della giornata insieme e fare una pausa di interazioni leggere e divertenti, prima di buttarsi a capofitto tra le cose per la cena e l’ora della nanna, con la stessa frenesia con la quale si è vissuto tutto il giorno. Sarebbe fantastico rientrare in casa facendo gli indiani su per le scale, ululando e saltellando tutti insieme, e ridendo come i matti. Sarebbe gustosissimo rotolarsi per qualche minuto sul tappeto, come fanno gli ippopotami nel fango, per sentire la familiarità del contatto fisico e rassicurarsi sul desiderio di presenza.
La cena assumerebbe un altro tono se anche mamma e papà accettassero la sfida dei ghirigori da disegnare nel piatto e se, quando il bimbo o la bimba lanciano le mollichine, i genitori si ingegnassero a parare il tiro come un vero portiere, fingendo una mossa strategica. Sai che risate! Ci si avvierebbe più allegramente a concludere la giornata facendo il trenino che gira nelle stanze della casa e a ogni fermata raccoglie un giocattolo sparso per terra per riportarlo alla sua destinazione. E persino lavarsi i denti (che fastidio!) potrebbe diventare un momento divertente se ci si mettesse per un attimo a provare a fare le bolle con il dentifricio o a inventare una filastrocca: siamo decenti e ci laviamo i denti, siamo puliti e non verrem puniti, siamo già pronti e l’acqua scorre sotto ai ponti, persino Topo Gigio usava il dentifricio!
Ecco perché ho consigliato a bimbe e a bimbi di scrivere nella letterina a Babbo Natale che, quest’anno, non desiderano farsi portare giocattoli, ma piuttosto vogliono chiedere qualche ora di gioco insieme alla mamma e al babbo. Sono certa che farebbe bene anche a loro due e che Babbo Natale sarà così d’accordo che proverà di sicuro a convincerli.
di Paola Nicolini
Docente di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’educazione
Università di Macerata
paola.nicolini@unimc.it